Qual è la vera impronta di carbonio del cibo che consumiamo?

Innovazione e Tecnologia / Financial Times / 02 Settembre 2020


Per chi vive nel Regno Unito, una mela importata dalla Nuova Zelanda ha un'impronta di carbonio maggiore di quella coltivata in casa. Tuttavia non sempre questo è vero: ogni fase del ciclo di vita di un alimento infatti, impatta sull'ammontare dell’impronta di carbonio complessiva quindi non è solo il trasporto che conta. Attualmente, grazie alla tecnologia, misurare le emissioni totali di carbonio di un alimento sta diventando sempre più facile e sempre più aziende stanno introducendo una dettagliata "etichettatura del carbonio", sulla scia di una maggior consapevolezza dei propri clienti.

Per quanto riguarda i trasporti, le spedizioni via mare riguardano il 59% delle miglia percorse a livello globale al contrario del trasporto aereo che è utilizzato solo per lo 0,2% e solo per alcuni beni specifici. Pur essendo una percentuale limitata, i beni trasportati via aria hanno l’impronta di carbonio più alta.

Alcune aziende, tra cui TESCO, stanno cercando di ridurre l’impatto ambientale dei loro prodotti e hanno iniziato ad etichettare singolarmente i loro prodotti con informazioni circa l’impronta di carbonio; in passato servivano circa 7 mesi per effettuare il calcolo dell’impronta di carbonio, ma oggi grazie alle nuove tecnologie e ai big data il processo si è significativamente ridotto.